Teatro

GINO DE DOMINICIS. l'Immortale

GINO DE DOMINICIS. l'Immortale

“Gino era una persona eternamente interessata all'esplorazione della linea sottile che divide il visibile dall'invisibile. Il tempo dall'eternità. Il reale dall'irreale. La mortalità dall'immortalità. Possedeva la consapevolezza dell'istante giusto e del momento giusto, nello spazio e nel tempo” (Marina Abramovic).
Gino De Dominicis, artista profetico e “solista”, nasce ad Ancona nel 1947; ha condotto una ricerca indipendente, rivoluzionaria e complessa, di forte valenza concettuale, articolata intorno ai temi dello scorrere del tempo, della conquista di una forma di immortalità, dell'invisibilità e del raggiungimento di obiettivi impossibili, temi affrontati sia con strumenti artistici tradizionali, sia con performance e installazioni, in un gioco a volte ironico e provocatorio. Dopo un inizio figurativo negli anni Sessanta e una fase successiva legata maggiormente a performance e installazioni, negli anni Ottanta ritorna alla pittura, riproducendo visi ermetici caratterizzati da nasi allungati. Muore a Roma nel 1998. Punto di riferimento per oltre trent'anni della cultura pittorica italiana e non solo e, soprattutto, fonte di ispirazione per gli artisti giovani di oggi, De Dominicis è stato “artista invisibile e maestro indiscusso dell'ironia più sagace, precursore del rovesciamento della prospettiva e della fisicizzazione dell'idea” nelle parole di Anna Mattirolo, direttore di MAXXI Arte, nell'introduzione al catalogo Electa.

La mostra è la prima e la più esaustiva retrospettiva dedicata all'artista e percorre tutti gli spazi del museo, dal cortile all'ingresso, dalla Sala Claudia Gian Ferrari al piano terra alla spettacolare galleria 5, passando per scale e passerelle, grazie alla collaborazione con la Regione Marche, l'Associazione Amici di Gianni De Dominicis, musei, fondazioni, archivi privati, esperti, gallerie e collezionisti. L'esposizione indaga i maggiori nodi tematici e iconografici affrontati da De Dominicis nel corso della sua originale ricerca, difficilmente inquadrabile in precise correnti e movimenti. Quasi 140 le opere esposte, legate ai temi dell'immortalità della materia, al rovesciamento prospettico-ubiquità, alla metamorfosi (intesa come evoluzione), all'invisibilità, all'antinaturalismo, alla sospensione del tempo tra passato remoto e futuro. In particolare il tema dell'immortalità (da cui il sottotitolo della mostra, “l'Immortale”), che attraversa come un fil rouge l'intera poetica di De Dominicis, viene sondato dall'artista attraverso le forme e i materiali più diversi, dalle installazioni alla sperimentazione video, dalla fotografia alla pittura alla scultura; tema che lo porta a sentire il fascino dell'universo infinito rivelato dalle conquiste spaziali (futuro) o dalle civiltà antiche (passato remoto), come quella sumera, precedente la razionalità greca del “logo” inteso in senso occidentale. Per tali motivi la mostra non è scandita secondo una lineare evoluzione cronologica, ma costruita sulla coesistenza e compresenza delle opere, che appaiono al visitatore come una serie di “epifanie” lungo il percorso, conferendo massimo valore all'immagine come pensiero, che continuamente si ricrea e si trasforma per dare corpo alla ricerca dell'artista, mai esausta e mai appagata. Si creano così veri e propri “cortocircuiti visivi” tra opere di contenuto simile ma lontane nel tempo, che danno vita a un percorso espositivo circolare e avvolgente che annulla il tempo inteso in senso convenzionale. Infatti ciascuna sezione della mostra è caratterizzata dalla presenza di opere-cardine, che hanno segnato come pietre miliari la ricerca dell'artista. Pertanto il percorso espositivo si snoda dai lavori di esordio alle ricerche oggettuali e performative degli anni Sessanta e Settanta, dalle sperimentazioni del mezzo fotografico e del video al ritorno dell'artista, negli anni Ottanta, alla pittura e alla scultura, per forzarne i linguaggi tradizionali fino ad esprimere le tensioni e le aspettative dell'uomo contemporaneo.

A cominciare dalla “Calamita cosmica” (1989), recentemente vista ad Ancona (cortile della Mole Vanvitelliana, 2005) e Milano (piazzetta di Palazzo Reale, 2007), qui posizionata nel cortile di ingresso, enorme manufatto (lungo 24 metri e alto 7 metri) che intrattiene un rapporto dialogante con lo spazio ultraterrestre; e da “Mozzarella in carrozza” nell'atrio, che, nell'impatto spiazzante, sembra un oggetto fuori luogo se non ci si avvede della mozzarella nel sedile posteriore, sfruttando il procedimento retorico della metonimia per materializzare in oggetto il nome di una ricetta culinaria.

Nella prima sezione (Sala Claudia Gian Ferrari) vengono esposte le prime opere di esordio (matite colorate e pastelli a cera su carta del 1962-65), il “Necrologio” con cui l'artista fece il suo esordio nel panorama artistico romano, “Il tempo, lo sbaglio, lo spazio” (uno scheletro sui pattini accompagnato da quello di un cane al guinzaglio: ma il memento mori è sempre accompagnato dalla possibilità di sconfiggere il nulla attraverso l'opera, perchè l'arte aspira all'eterno, ma deve meritarselo), “Sbarre violate” (inno alla fuga dalle costrizioni, monumento alla libertà di azione e di pensiero), le performance e le diverse sperimentazioni oggettuali degli anni Sessanta e Settanta, opere che, attraverso il gioco della tautologia, dell'assurdo e della metonimia, indagano il legame ambiguo tra visibile e invisibile, tra realtà e immaginazione, tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, alla ricerca dei principi fondativi di una nuova fisica e di una nuova antropologia.
La seconda sezione (scale e passerelle) coniuga la forza visionaria delle opere con la spazialità del museo di Zaha Hadid con un percorso non orientabile e infinitamente percorribile, rafforzando il senso onirico e a-gravitazionale delle opere, che appaiono al visitatore come vere apparizioni demoniache. Tra queste la “Lady Diana” del 1985 e la figura monoculare viola e gialla che emerge dal fondo nero (1985).

La terza sezione (galleria 5) contiene i maggiori nodi temativi ed è in sé un percorso ideale e spettacolare dal buio alla luce, mettendo in scena la creazione di una ideale bellezza “altra”, antinaturalistica ed eccentrica. Si parte dalle “Giocondine”, che mostrano l'attenta riflessione sulla lezione di Leonardo, poi i celeberrimi “Nasi”, quindi i ritratti. Non mancano opere che raccontano un “oltre” spazio-temporale, come “Prospettive rovesciate”, “Pianeti”; opere che ricreano un passato tanto remoto quanto originario e universale, da quelle legate all'epopea di Gilgamesh e alla saga dei Sumeri ai “Guerrieri” a quelle del ciclo Kali-yuga.
Fa da ideale collegamento tra le sezioni la risata di “D'Io” (giocando sulla duplicità del significato del titolo, l'artista forza il concetto umano fino a renderlo divino, per cui il passaggio da una condizione all'altra viene mutato in un'ironica risata) che risuona nell'atrio e nelle scale.

Il catalogo Electa, curato come la mostra da Achille Bonito Oliva, è una vera e propria monografia di riferimento per lo studio e la conoscenza delle opere di Gino De Dominicis, considerate la completezza delle notizia storiche, l'apparato iconografico, l'autorevolezza degli interventi sui diversi ambiti scientifici (filosofia, archeologia, fisica, matematica) per meglio inquadrare e analizzare le molteplici idee, conoscenze e influenze colturali che hanno sotteso l'arte di De Dominicis. A cominciare dalla evocativa copertina, col “Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno a un sasso che cade nell'acqua” del 1971. All'interno, dopo i saggi di Bonito Oliva (“Senza titolo: l'Immortale”) e Italo Tomassoni (“Epopea di Gino De Dominicis”), Gabriele Guercio indaga “L'obiezione ancestrale”, Massimo Donà esplora la dimensione “antipaltonica” nell'opera di De Dominicis avvicinando Poiesis e Immortalità, Claudio Bartocci si occupa della dimensione più misteriosa, mentre Giovanni Pettinato e Silvia Chiodi spiegano i segni dell'Antica Mesopotamia nella sua opera (mentre i segni di una nuova Mesopotamia, contemporanea e problematica, sono indagati dall'artista turco Ataman nella Sala Scarpa), quindi il “Gusto dello scandalo” riferito da Fabio Sargentini, oltre scritti, interviste, testimonianze e foto e schede di tutte le opere in mostra.

Non si può dimenticare, esaminando De Dominicis, che Eugenio Montale parlò di lui durante il discorso tenuto a Stoccolma il 12 dicembre 1975 in occasione dell'assegnazione del premio Nobel per la letteratura, definendo la sua opera esposta alla Biennale di Venezia del 1972 come “un esperimento interrotto manu militari ma legittimo sul piano teorico”. “Seconda soluzione di immortalità” si componeva di tre opere precedenti di De Dominicis (“Cubo invisibile” del 1967, “Palla di gomma caduta da 2 metri nell'attimo immediatamente precedente il rimbalzo” del 1968 e “Attesa di un casuale movimento molecolare generale in una sola direzione, tale da generare un movimento spontaneo della pietra” del 1969) collocati davanti a Paolo Rosa, un ragazzo affetto dalla sindrome di Down che, seduto nell'angolo della sala, li osservava da un proprio personale punto di vista interno all'opera stessa e opposto a quello degli spettatori (l'opera riferiva un modo diverso di guardare il mondo, infrangendo la presunta corrispondenza tra percezione e conoscenza ereditata dall'antica Grecia, ma provocò da subito polemiche e censure e l'artista fu denunciato e sottoposto a un procedimento penale che terminò con l'assoluzione).

A conclusione non si può tacere lo straordinario, emozionante effetto ambientale delle opere di De Dominicis negli spazi pensati da Zaha Hadid, soprattutto nella galleria 5, dove per l'alchimia dei colori (rossi profondi, blu vibranti, neri cangianti, ori spessi come bassorilievi) il contenitore valorizza il contenuto e il contenuto valorizza il contenitore, creando linee invisibili e sguardi inediti che amplificano all'infinito le potenziali possibilità semantiche delle opere, come l'artista avrebbe voluto: “Gino De Dominicis è nato nel 1947 ma non esiste veramente essendo soltanto uno strumento della natura che verifica attraverso di lui alcune possibilità” (testo di De Dominicis). Insomma: Gino De Dominicis consente allo spettatore di toccare l'invisibile.

Roma, MAXXI Museo nazionale delle Arti del XXI secolo, fino al 07 novembre 2010, aperta da martedì a domenica dalle 11 alle 19 (giovedì chiusura alle 22), lunedì chiuso, ingresso euro 11,00 (comprensivo del museo e delle altre mostre in corso), catalogo Electa, infoline 06.3210181, sito internet www.fondazionemaxxi.it .

FRANCESCO RAPACCIONI